Review by Drei:
Quello del Boari è un percorso lungo, partito da noise che fa schifo e approdato finalmente alla maturità compositiva grazie anche ai preziosi consigli dello Iaci, noto no vax ma ottimo tecnichino in grado di aprire le sue ali musicali.
Il Boari di “sleepless arcade” è impenitente rispetto alle sue ispirazioni: gli piez l’Asia, e anche un botto. Gli piez quella umanità schiacciata dalla cultura del lavoro, esacerbata dall’occidente negli ultimi 50 anni. Una civiltà stanca e fiaccata dal produrre Bratz ma che va avanti.
“Internet refugees in the sleepless arcade” mette subito in chiaro però che a lui non basta parlarne. Deve crogiolarcisi in mezzo, vivere con essa, andare a vedere. Con i suoi campioni registrati live nelle squallide sale pachinko vietnamite rivendica il suo legame con essa. E a questa sovrappone l’americanissima vaporwave: due civiltà ai poli opposti della produzione ma entrambe stanche si ritrovano unite in rallentati e fangosi beat.
MA ECCO! L’assalto sonico arriva a sorpresa con “Jake”, per ricordare che anche nelle metropoli dell’asia si può vivere un revival distorto delle illusioni degli anni ’80.
“Sonic the” è semplicemente un pezzo della madonna invece. Un po Goldie e un po Squarepusher, Boari ci trasporta un un turbinio di pixel e synth, fast! faster! a volare sopra le megalopoli del futuro a caccia di anelli dorati.
Il ritorno in Europa si sente subito invece in “Bologna futurshow 1996”: sembrano i radiohead all’inizio, per poi sciogliersi in un sogno sospeso jazzato, un noir quasi. Questa è l’Europa e l’Italia per il Boari: sospesa. Incerta del suo posto nel mondo, delicata certo, ma anche poco incisiva; crepuscolare.
“Bay city” rinnova il paragone fra gli insonni popoli americani e asiatici tramite la stanca vaporwave. Gli uni stanchi di consumare fentanyl e gli altri stanchi di produrlo 24 ore al giorno per loro, ma entrambi con qualcosa in comune.
L’elettronica drill & bass ritorna con “Great blue” che riesce a tenere insieme melodie asiatiche e ariosi synth occidentali. Nessuno dei due vince nella visione di Boari, si alternano e convivono come i legami a tre continenti diversi della sua vita. Vita che imita l’arte anche in questo caso.
“Sundee” è un oggetto inizialmente inconoscibile. Il Boari rifiuta la forma canzone e sforna una straniante sequela di synth ambientali ed ambigui. Un criptico linguaggio asiatico parla di cose a noi non note, l’unica parola chiara è quella del titolo, Sundee, probabilmente la storpiatura asiatica di Sandae, il classico dessert del mac, un oggetto inconoscibile appunto, nella sua perfezione artefatta, ai popoli fino a poco fa impoveriti del sud est asiatico. Ma superata la prima fase di circospezione e stupore ecco che arriva l’assaggio! Gnam! E la scoperta della sua bontà, con buona pace dei no global occidentali. E anche il pezzo giubila, diventando improvvisamente volutamente rassicurante e banale, come il cibo-suegno del mac. E se la sono meritati ad Hanoi, diciamolo una volta per tutte, questa delizia!
Per molti anni il Boari è stato accusato da voci velenose di non essere un musicista e un viruoso, specie dal leader dei Non Compliant Cardia. “Love, set me free” è la sua beffarda risposta: prima un acappella da brividi, in cui il SOUL esce potente, ricordando Diana Ross, per mettere a tacere le malelingue; e poi una coda di noise marcio per irridere i paladini dell’indie-rock bolognese, infastidendoli, costringendoli a vedere da che marcio nasce la vera Arte.
Ma tutta questa arte ha un costo mentale, e questo viene palesato in “Abilified/swamp thing”. Tetra ballata con echi del bayou, essa dice tutto nel titolo, occultando il messaggio quel tanto che basta per non essere perseguito: paragonare Abilify, famigerato antipsicotico per bloccare ogni malessere e deviazione, ad una palude, non avrà fatto piacere a big pharma.
A questo punto, quasi a fine disco, il Boari prende una netta posizione con un titolo completamente in lingua asiatica. L’asiatico faceva già ampio sfoggio di se in molti titoli, ma ora Boari vuole parlare solo ai popoli dell’estremo oriente. “Leave me alone” sembra dire ai suoi fan occidentali, e noi dobbiamo rispettarlo sapendo che non potremo mai comprendere davvero il pezzo come un nostro omologo orientale. Un pezzo molto più teso e duro infatti dei precedenti, conscio della vita nelle fabbriche di sneakers e fidget-spinners. Un pezzo per chi questa durezza la vive ogni giorno.
Per fortuna il disco non ci lascia con tale amaro in bocca, ma con la lunga carezza di “Sonic fast till the end”, perché nonostante tutto è la dimensione del sogno quella che più si confà al Boari, il sogno di un futuro in cui anche in Asia si potrà correre come porcospini in cerca di anelli, come da troppi secoli si può solo in occidente.
VOTO: 8,5
DROGA CONSIGLIATA PER L’ASCOLTO: china white
PEZZI PREFERITI: i due sonic, bologna futurshow e great blue
Traded childhood memories for corporate warmth.
Nostalgic about discontinued produce, consumerist wanna be from 3rd tier economy.
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